Alla base della maggior parte dei progetti di educazione alimentare c’è un pregiudizio: c’è l’idea che il bambino sia istintivamente portato ad adottare abitudini scorrette (i golosi, i capricciosi, gli inappetenti) e che la scuola e la famiglia abbiano dunque il dovere di correggere questa spontanea cattiva inclinazione. Come se non bastasse, è diffusa l’abitudine di parlare del cibo come se si parlasse di un farmaco: solo in termini di effetti sulla salute (fa bene / fa male).

Premesse errate o riduttive non possono che condurre a percorsi educativi inefficaci e, di conseguenza, a un inevitabile spreco di risorse: se oggi un bambino italiano su tre è in sovrappeso significa, banalmente, che l’educazione alimentare va ripensata… o forse che è tempo di abbandonare il concetto stesso di “educazione alimentare”, per ripartire dalla persona, dai suoi interessi, dai suoi affetti, dal suo rapporto con la natura: una sollecitazione che arriva sia dall’ambito educativo, sia da quello medico.

Il cibo è nutrimento per il corpo, per la mente e per il cuore e, poiché proviene dalla natura, permette ai bambini di capire spontaneamente che anche noi siamo “natura”, ovvero che non siamo “altro” rispetto al mondo naturale: un tassello fondamentale per cominciare a costruire la propria identità. Nel piatto dei bambini, anche quando non ne siamo consapevoli, mettiamo le nostre competenze, la nostra storia, i nostri gusti, il nostro rapporto con le risorse, i nostri valori etici e politici, i nostri umori, il nostro approccio educativo, i nostri limiti: per tutti questi motivi, il cibo è cultura.

Crescendo, il cibo diventa “materia concreta” dalla quale si può partire per interessarsi di qualsiasi “materia scolastica”, per confrontarsi con gli altri, per risolvere conflitti, per celebrare giorni speciali, per esplorare l’arte, per parlare di sicurezza, per sperimentare linguaggi. E il cibo è a sua volta un linguaggio, attraverso il quale il bambino parla di sé, manifesta le sue paure, le sue preoccupazioni, i suoi bisogni e desideri.

Per questi motivi è necessario che il mondo del cibo ritrovi la sua integrazione nella vita quotidiana, nelle attività e nella cultura, come parte fondante di un tutto armonico. Trascorrere tempo in cucina insieme ai bambini, giocare ed esplorare gli utensili e gli ingredienti, coltivare piccoli ortaggi ed erbe aromatiche, coinvolgerli nel rito quotidiano dei pasti (fare la spesa, cucinare, apparecchiare, mangiare insieme, riordinare, recuperare gli avanzi e riciclare i rifiuti), raccontare di quello che mangiavamo noi da piccoli, andare a raccogliere frutti selvatici, leggere e inventare storie che parlano anche di cibo: sono solo esempi di attività che possiamo facilmente proporre e mettere in pratica ogni giorno, a casa e a scuola, senza bisogno di attendere quei tre giorni l’anno in cui arriva il tanto atteso “progetto di educazione alimentare”.